Dichiarazione congiunta delle segreterie di Filt Cgil; Fit Cisl e Uiltrasporti dell’Emilia Romagna su logistica
Possono proseguire la propria attività le aziende di logistica e magazzino limitatamente alla gestione di merci la cui ricezione, immagazzinamento, lavorazione e spedizione sia connessa ad attività o filiera beni essenziali compresi nell’allegato 1 del DPCM dell’11 marzo 2020, ovvero finalizzata alla vendita al dettaglio attraverso piattaforme on line”.
Così recita (articolo 2 comma d) l’ultima ordinanza firmata dal ministro della Salute Roberto Speranza d’intesa con il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. È uno dei passaggi che dovrebbe regolamentare le attività della filiera logistica nei territori di Piacenza, Rimini, Medicina e Ganzanigo. A distanza di giorni dai provvedimenti di chiusura delle attività produttive in Italia, crediamo però sia più che mai necessario che gli estensori di tale provvedimento chiariscano cosa è bene essenziale e cosa non lo è.
Tutti i lavoratori della logistica – dalle attività portuali, al trasporto, alla lavorazione delle merci fino alla consegna a domicilio – sono ben consapevoli di qual è il loro ruolo in questo momento storico per il Paese. Un ruolo importante e determinante che va dalla circolazione dei Dpi, all’approvvigionamento dei generai alimentari nei negozi, dal trasporto (seppur ridotto) dei carburanti, fino alla raccolta dei rifiuti e al trasferimento negli impianti di trasformazione. Insomma, sono i lavoratori della logistica quelli che stanno letteralmente muovendo il Paese.
E allora occorre uscire presto dalla grande ambiguità delle interpretazioni delle norme. E quindi dire subito cosa è essenziale e cosa no. Il senso di responsabilità dei lavoratori della logistica è indubbio, chiediamo lo stesso sforzo anche alla politica e a tutte la autorità competenti.
Gli ispettori sul territorio servono, eccome. Ma servono a definire una volta per tutte cosa si intende per beni essenziali, e quindi quali attività sono consentite, o solamente per certificare che le aziende della filiera logistica possono andare avanti a prescindere, semplicemente chiedendo la deroga?
Pensiamo ai sindaci che hanno preso le distanze dalla circolare che tollerava le uscite per i più piccoli. Un giusto richiamo, ma oltre a quella dei figli va tutelata anche la salute dei genitori, a maggiore ragione se questi lavorano in filiere tutt’oggi operative, come quella della logistica.
Questi lavoratori si trovano a contatto con altri colleghi o cittadini per la movimentazione e la consegna di televisori da 60 pollici, bici, costumi da bagno, piumini, jeans, magliette, mutande e calzini, mobili e telefonini. E tutto questo va bene? Perché è bene che tutti sappiano che alla sera, rientrando dal lavoro, il rischio ancora elevato di trasmettere il contagio ai propri cari rimane.
Ad aggravare la situazione, la notizia che ci arriva dai territori di settori importanti, come la ceramica e la meccanica, che hanno cessato la loro attività per effetto degli ultimi decreti, continuando però le attività di spedizione attraverso l’utilizzo dei lavoratori della logistica, riguardo a beni e prodotti ancora fermi nei piazzali, attività che invece dovrebbe essere in questa fase ferma.
Il nostro appello è quindi rivolto ai sindaci, alle aziende, ai prefetti, alle Asl: bisogna subito intervenire senza ambiguità sulla logistica. Non farlo, sarebbe come dire che si possono riaprire tutte le attività. Tutto questo però non sta avvenendo, forse perché il consumismo on line ha raggiunto dimensioni economiche, a vantaggio delle multinazionali.
L’egoismo economico delle aziende è noto, si scarica in questa fase non solo sulla filiera logistica: da una parte con la continuità delle lavorazioni anche di beni non essenziali, dall’altra con l’assoluta indisponibilità a contribuire alla drastica riduzione di salario di chi si trova, o si troverà, negli ammortizzatori sociali dovuti alla riduzione, speriamo tutti temporanea, delle attività produttive».